Federazione Universitaria Cattolica Italiana

 

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Sede: Parrocchia S. Donato in Polverosa

Chiamare: Rita Manuela Bruno

La malattia causata dal virus Ebola è una febbre emorragica che si presenta con febbre, cefalea, malessere, dolori muscolari e progredisce con nausea, vomito e diarrea fino a causare emorragie (interne e/o esterne). È un’infezione molto grave, con tassi di letalità variabili (a seconda dell’area geografica e del ceppo virale specifico) tra il 50 e il 90%. Il virus dell’Ebola fa parte della famiglia delle Filoviridae (assieme ad un altro virus, Marburg, anch’esso molto contagioso e gravato da un’elevata letalità), è costituito da RNA (contenuto in un capside proteico) ed è circondato da un involucro lipidico (che rende ragione della suscettibilità del virus ai comuni detergenti).

Peter Piot, scienziato belga andato nel 1976 in un villaggio del Congo duramente colpito dalla tremenda e allora misteriosa malattia, scoprì per la prima volta il virus e la sua struttura al microscopio. Nei suoi scritti Piot descrive l’emozione e la soddisfazione per una simile scoperta. Il nome dato al virus non fu quello del villaggio (come accadeva di solito), ma del fiume più vicino per rispetto alla popolazione afflitta dall’Ebola.

Il serbatoio dell’infezione sembra essere il pipistrello, che in alcune zone dell’Africa viene cucinato e mangiato in diversi modi. Inoltre un’ipotesi possibile è quella del bush-meat: i pipistrelli infetterebbero le scimmie (perché queste si cibano dei pipistrelli) e da queste il virus si propagherebbe all’uomo sempre per via alimentare.

Fino ad oggi l’interesse delle case farmaceutiche nella preparazione di un vaccino contro l’Ebola è stato decisamente scarso. L’Ebola era un problema confinato all’Africa: non valeva la pena investire tante risorse per una minaccia che sembrava limitata ad una zona così lontana dal mondo occidentale. Le cose sono decisamente cambiate quando i Paesi industrializzati hanno avvertito il rischio di un’epidemia non più controllabile. Per questo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha accelerato i tempi per la produzione di un vaccino. Uno dei due vaccini attualmente in studio viene preparato (in almeno una sua parte) anche in Italia. Per adesso i risultati sugli animali hanno dato risultati di efficacia incoraggianti. È stata iniziata la sperimentazione su volontari sani e, a metà del mese di novembre, dovrebbero uscire i risultati di questa fase. Successivamente il vaccino verrà testato su più larga scala e sui soggetti a rischio proprio nelle regioni colpite (abitanti e familiari dei pazienti, operatori sanitari, soggetti che si occupano della sepoltura…), cosa che potrebbe rivelarsi più complicata del previsto viste le resistenze e le paure delle comunità locali agli interventi sanitari imposti dall’esterno.

La diffusione del virus nell’ultima epidemia è stata imprevedibilmente più rapida ed estesa delle precedenti, favorita dal fatto che siano stati colpiti i grossi centri urbani dell’Africa occidentale (mai colpita fino ad oggi). Il contagio infatti è concentrato nelle zone a maggior densità demografica.

Sono stati adottati rigidi provvedimenti per il contenimento delle epidemie (es. quarantena, costruzione di tende ad hoc per l’isolamento dei pazienti sospetti, dispositivi di protezione per gli operatori sanitari e per chi si occupa delle procedure di sepoltura…). La popolazione è impaurita e spesso rigetta i provvedimenti sanitari adottati, che spesso provocano la separazione dai propri cari. Ciononostante vi è grande solidarietà nei confronti dei gruppi isolati: si assiste addirittura all’autotassazione per garantire il cibo alle comunità poste in isolamento dove si trovano magari i figli, il coniuge, i genitori, gli amici… I costi dell’ebola sono evidentemente molto alti dal punto di vista economico, nonché umano. Inoltre vengono sottratte risorse per altre malattie (malaria, AIDS, tubercolosi…) che continuano a mietere numerose vittime nei Paesi in via di sviluppo.

Il virus si trasmette (specialmente nelle abitazioni e in ambiente ospedaliero) attraverso contatti stretti coi malati e con le loro secrezioni corporee. È stato dimostrato che il virus viene eliminato anche attraverso il sudore e, nei casi di soggetti guariti, continua ad essere presente nelle secrezioni corporee (es. liquido seminale, secrezioni vaginali) per diverse settimane.

Il virus Ebola è tra i più pericolosi che possono colpire l’uomo con tassi di letalità elevati (variabili tra il 50% e il 90%) e un alto rischio di contagio. Il virus non si trasmette all’uomo per via aerogena tramite aerosol (nonostante infetti tutte le cellule dell’organismo, comprese quelle dei vasi e dell’apparato respiratorio) e gli scienziati giudicano molto improbabile che le mutazioni del virus (che pure avvengono) possano determinare l’acquisizione di una nuova modalità di trasmissione.

Nel territorio sono state intraprese azioni di disboscamento importanti, nella maggior parte dei casi dettate dagli interessi di organizzazioni occidentali o cinesi. Ciò ha portato ad un cambiamento delle abitudini di vita delle popolazioni del luogo che sono state spinte a cibarsi anche dei prodotti della caccia nelle loro foreste, incappando nel già citato fenomeno del bush-meat.

Sono tante le associazioni sanitarie impegnate sul fronte, tra cui anche Emergency. Gino Strada racconta della terribile situazione che i malati e talvolta intere famiglie si trovano a vivere a Waterloo, in Sierra Leone. Uomini, donne e bambini malati, sdraiati persino nelle strade, stremati dalle sofferenze, sotto la pioggia, in attesa di un posto letto libero all’ospedale. Il Personal Protective Equipement (PPE) è l’equipaggiamento usato per coprire tutto il corpo degli operatori sanitari che operano nelle cosiddette “zone rosse”, ovvero contaminate. Un piccolo errore di gestione può avere grosse conseguenze. Medici e infermieri si trovano a lavorare in condizioni estreme sotto le tende, a temperature che superano costantemente i 30 °C. Difficile lavorare così per più di un’ora. Anche la svestizione è molto complessa e richiede addirittura più lavaggi con candeggina. La burocrazia inoltre blocca l’arrivo di nuove forze (le aziende ospedaliere danno con reticenza il consenso alla partenza di medici e infermieri). Significativa la testimonianza che è possibile trovare sulla pagina FB di Emergency:

 

<<L’impotenza, la frustrazione e la rabbia si mescolano: non è giusto, non è umano trovarsi un malato grave davanti agli occhi e non poterlo soccorrere.

Molti non capiscono perché rimango qui in Sierra Leone. Lo faccio perché credo nel diritto alla cura per tutti, senza discriminazione: è per questo che ho scelto questo lavoro. L’Ebola è terribile, ma è possibile guarire. Se questa epidemia fosse scoppiata in occidente sarebbe stato diverso. Tutti si sarebbero attivati e i pazienti avrebbero ricevuto le cure migliori. Qui non è così, qui la gente è stata semplicemente abbandonata. Nessuno ha investito risorse, né energie per circoscriverla perché si pensava fosse un problema solo dell’Africa. Noi qui stiamo lavorando, anche se non è semplice. Certo che ho paura, ovvio. Ma credo che questa gente abbia diritto a essere curata come tutti. Ho paura ma resto, EMERGENCY resta, perché qualcuno deve pur fare qualcosa. Perché non è solo un problema africano, ma di tutti.

È un’epidemia grave, che necessita di un’azione concordata a livello internazionale, per non abbandonare i paesi africani come è accaduto in questi anni. La gravità della situazione, però, non deve in alcun modo giustificare strumentalizzazioni politiche e disinformazione che possono generare conseguenze pericolose.

È sbagliato e irresponsabile legare la diffusione di Ebola alle migrazioni via mare, in quanto l’aggressività del virus non renderebbe possibile affrontare viaggi di migliaia di chilometri dalle zone colpite fino alle coste nordafricane e da lì alle nostre coste. È criminale giocare sulle generalizzazioni che sovrappongono Africa, Ebola e migranti, sfruttando un’epidemia per i propri calcoli politici…

La lotta alla diffusione di Ebola, in Italia, deve partire da un’informazione corretta, sostenuta da istituzioni e rappresentanti politici responsabili. Il virus è pericoloso, ma la diffusione del panico, della disinformazione e del razzismo rischiano di essere ancora più pericolosi>>.

Papa Francesco, al termine dell’udienza generale del 29 ottobre 2014, ci invita a pregare:

<<Di fronte all’aggravarsi dell’epidemia di ebola, desidero esprimere la mia viva preoccupazione per questa implacabile malattia che si sta diffondendo specialmente nel Continente africano, soprattutto tra le popolazioni più disagiate. Sono vicino con l’affetto e la preghiera alle persone colpite, come pure ai medici, agli infermieri, ai volontari, agli istituti religiosi e alle associazioni, che si prodigano eroicamente per soccorrere questi nostri fratelli e sorelle ammalati.

Rinnovo il mio appello, affinché la Comunità Internazionale metta in atto ogni necessario sforzo per debellare questo virus, alleviando concretamente i disagi e le sofferenze di quanti sono così duramente provati. 

Vi invito a pregare per loro e per quanti hanno perso la vita >>.

E allora, quale possibile dialogo? La missione stessa è dialogo, non è partire-per-andare-ad-aiutare. Missione significa vado per esserci, per mettermi in ascolto. Mettersi da parte per ascoltare quello che l’altra persona ha da dire con le parole, lo sguardo, i gesti, i vestiti. Cosa mi chiede l’altra persona? Missione è anche saper ricevere, ricevere più di quello che si è dato. È imparare l’accoglienza, a non lamentarsi e a saper condividere tutto con l’altro.

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